Si può fare, si può fare

Cara Malù,

quando da ragazzina sentivo il bisogno di scriverti non poteva mancare la musica in sottofondo. Walkman in una mano e diario nell'altra, amavo tantissimo starmene all'aperto o comunque guardare un panorama che mi ancorasse al presente, mi ricordasse che, nonostante tutto, esiste sempre la bellezza fuori dalla mia testa.

Ora mi ritrovo a scriverti dallo studio nei momenti vuoti, come sottofondo il picchiettare veloce delle dita sulla tastiera del pc. Mi manca il diario di carta, mi manca lo stereo sulla mia scrivania, il suono della penna sul foglio, persino il callo al dito medio della mano destra che s'intravede lievemente ancora oggi. 
Così stamattina mi sono svegliata pensando per un attimo di scrivere questo post su un foglio di carta seduta su una panchina al porto ma il freddo e il senso del dovere mi hanno fatta desistere.

E no, non è la stessa cosa scrivere immersa nel Mondo o sommersa dai fascicoli. Intanto nel Mondo, con un bel paio di occhiali da sole, magari quelli fighi di Chanel che non uso mai perché saranno fighi ma sono pesanti e mi hanno anche sbagliato la gradazione, posso lasciare che le lacrime facciano il loro corso e percorso sul mio viso, così come capita quando sfogo tutto quello che ho da sfogare scrivendo; qui in studio posso essere sorpresa in ogni momento da chi preferirei non mi facesse domande, anche se in realtà avrebbe dovuto farmene tante ma tante nel corso della mia vita.
Poi nel Mondo può sempre arrivare un'ispirazione improvvisa, una storia da raccontare, un'idea da congelare immediatamente prima che scappi via; mi capita di osservare le persone intorno a me e di immaginare cosa portano dentro quelle rughe, dentro quei corpi a volte gobbi a volte rigidi, dentro quegli occhi malinconici e dentro quei sorrisi che spuntano apparentemente senza un motivo mentre lasciano vagare lo sguardo chissà dove (ed ecco che gli occhiali da sole mi tornano di nuovo utili per evitare di essere presa per una maniaca guardona). Qui in studio posso lasciarmi ispirare dal piano di rientro dell'ennesimo debitore in crisi e dagli screenshot di una conversazione via wattsup di coniugi che si stanno separando non proprio amichevolmente. Ma va bene così, il lavoro non è più la mia vita, è solo una parte della mia giornata ed è ciò che alla fine mi consente persino di apprezzarlo.

In realtà c'è un motivo per cui devo scriverti proprio oggi. Devo riordinare e ripulire dopo le due giornate di stage con Maria Josè Vexenat, una meraviglia di artista che ha donato a tutto il mio gruppo così tanto in così poco tempo.

C'è stato un momento, non ho capito bene quando, in cui qualcosa si è spezzato. Qualcosa che credevo di aver aggiustato e invece no, era solo un rimedio di fortuna e non ha retto il colpo. 
Due semplici frasi da pronunciare a voce alta ed interpretare con l'aiuto di un velo colorato, una dopo l'altra, sedute in cerchio: "no, non si può" e "sì, si può". 
Mi sono resa conto di come tutte, ma proprio tutte noi sedute in quel cerchio ci siamo sentite dire, o ci siamo dette da sole, almeno una volta nella vita che no, non si può, non possiamo essere noi stesse fino in fondo e se ci provi, bè, devi sentirti in colpa almeno un po', forse persino rischiare di essere amata di meno. E la libertà è solo un'illusione.
Io ad esempio sono schiava dell'immagine che ho di me o che gli altri hanno di me, o che credo che abbiano di me, e che mi ha fatto di dire "no, non si può" di fronte alla minima critica. 
No, non sei creativa.
No, non sai danzare.
No, non hai talento.
No, non combini nulla al di fuori della scuola.
No, non hai carattere.
No, non sei manco particolarmente simpatica.
No, non sei brillante.
No, non sei importante.
No, lo vedi che non ti considera nessuno? Non riesci ad incontrare lo sguardo di nessuno, a suscitare alcuna emozione.
No, non verrà nessuno a tirarti fuori da questo vortice, nessuno ti farà un complimento o ti incoraggerà e del resto come biasimarlo, non ti fai vedere, non chiedi aiuto perché non sei capace di farlo.
No, non riesci a non fare paragoni, a non fare confronti, a non metterti in competizione e, come al solito, ti consideri la perdente.
E no, non sei manco bella e ti ingozzi di nuovo senza ritegno.

E poi è arrivato il "Sì, si può". E la commozione che si prova quando si scarta un regalo che si è aspettato per tutta una vita e si credeva di non ricevere mai. 

Ma concretizzare un sogno mette paura. Ora lo stai facendo per davvero, non hai più scuse, è tutto nelle tue mani. Si può fare, certo, ma devi affrontare i tuoi demoni, i tuoi limiti, la parte di te che tieni nascosta perché non ti piace. E credo sia per questo che la mia allegria è stata comunque smorzata. Io che se non vedo un voto alto mi sento improvvisamente niente, io che se non ricevo complimenti mi convinco di non valere, io che fantastico e mi creo aspettative che rimangono deluse ma non imparo comunque mai.

Qualcosa però sta cambiando nel mio modo di percepire la realtà. Cerco in ogni canzone che ascolto lo stimolo per creare una danza, in ogni essere vivente animato e non animato il movimento che si trova in lui. Mi chiedo che ritmo abbia la mia giornata e, soprattutto in tribunale, mi diverto a osservare come camminano i miei colleghi (è una curiosità che mi ha trasmesso una delle mie insegnanti): manco a dirlo o sono curvi, schiacciati sotto il peso dello stress e delle responsabilità, o sono impettiti e rigidi come il ghiaccio, che così spaventi l'avversario, o sono di corsa ma mantengono un fare scanzonato di chi alla fine è contento di vivere per il lavoro.
Sto riscoprendo il gioco io che a volte mi chiedo se sono mai stata davvero bambina






    
      
  

Commenti

  1. Concretizzare un sogno mette paura...
    Certo! Paura di non riuscire perchè i condizionamenti del passato non sono mai spariti del tutto. Incertezza nel credere che quel sogno si sta concretizzando.
    Forza, aggiungo io perchè è quella che dobbiamo trovare dentro di noi per dare non solo corpo ma anhe anima e cuore a quel sogno.
    Dai! Sì, che si può!!!
    Bacio!

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  2. Il problema è che, fin da piccoli, ti riempiono la testa di limiti, di regole, di "non si può", di " si deve", di "è meglio che ...".
    E le aspettative ... mamma, che palle ... fare una cosa per far contento uno, farne un'altra per far contenta quell'altra ...
    Spesso passiamo più tempo ad accontentare gli altri, che noi stessi ... non va mica bene e quando ce ne rendiamo conto ... bum ... succede il finimondo, dentro se stessi e tutto attorno!
    Inevitabile.

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    Risposte
    1. A qualcuno riesce più facile, conosco persone che sono libere sul serio, libere dal peso del giudizio altrui. Non sai quanto le invidi :) Devo riuscire a superare la cosa..pian piano...si può fare :)

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